Codice Prodotto / Stato Titolo Italiano Titolo Orginale
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 A proposito di Davis  Inside Llewyn Davis
poster C'era una volta la capitale indiscussa del folk, quel Greenwich Village a partire dal quale Bob Dylan avrebbe cambiato la storia della musica. Ma questa storia comincia prima, quando la musica folk è ancora inconsapevolmente alla vigilia del boom e i ragazzi che la suonano provengono dai sobborghi operai di New York e sono in cerca di una vita diversa dalla mera esistenza che hanno condotto i loro padri. Llewyn Davis è uno di questi, un musicista di talento, che dorme sul divano di chi capita, non riesce a guadagnare un soldo e sembra perseguitato da una sfortuna sfacciata, della quale è in buona parte responsabile. Anima malinconica e caratteraccio piuttosto rude, Llewyn è rimasto solo, dopo che l'altra metà del suo duo ha gettato la spugna nel più drastico dei modi, e ha una relazione conflittuale con il successo, condita di ebraici sensi di colpa, purismo artistico e tendenze autodistruttive. Appartiene alla categoria più fragile e più bella dei personaggi usciti dalla mente dei fratelli Coen, come Barton Fink o Larry Gopnik (A serious man), così come il film appare immediatamente come il ritorno ad un progetto più intimo rispetto all'ultimo Il Grinta. E tuttavia A proposito di Davis, nei confini di uno spazio limitato a pochi ambienti (l'unica possibilità di fuga si rivela un altro fallimento) e di una sola settimana di tempo (arrotolata in una circolarità tipicamente coeniana), è una celebrazione dell'arte - della musica, ma anche e più che mai del cinema - amara e sentita, tutt'altro che contenuta. Per quanto il lavoro di rievocazione storica dell'ambiente musicale e degli ambienti in generale (è il 1961, l'anno di Colazione da Tiffany, qui omaggiato dalle finestre che si aprono sulle scale antincendio e da un gatto senza nome, destinato a riuscire nell'impresa giusto per far sentire Llewyn ancora più perdente) sia uno dei protagonisti indiscussi del film, è in un una scena molto diversa che si nasconde il suo cuore. Su un palco in penombra, senza appigli che non siano una sedia e una chitarra, e ad un certo punto più nemmeno quest'ultima, Llewyn canta la sua struggente ballata per il produttore. È un momento di emozione pura, al termine del quale, il potente interlocutore guarda il protagonista e sentenzia: non si fanno soldi con quella roba. E in questa chiusa comica e micidiale, i Coen dicono tutto, dell'arte e dell'industria, forse anche del loro stesso film, con la consueta ironia e il consueto cinismo. Ispirato in parte al memoir del folk singer Dave Van Ronk ("The Mayor of MacDougal Street), A proposito di Davis è anche una piccola summa del cinema precedente dei fratelli di Minneapolis, fatto di incontri enigmatici, facce incredibili, bizzarre riunioni canore attorno ad un microfono, tragicomici doppi. Perché in due è meglio. 
Genere Drammatico Durata 105
Regista Joel Coen, Ethan Coen
Attori Oscar Isaac, Carey Mulligan, Justin Timberlake, Ethan Phillips, Robin Bartlett. Max Casella, Jerry Grayson, Jeanine Serralles, Adam Driver, Stark Sands, John Goodman, Garrett Hedlund, Alex Karpovsky, F. Murray Abraham, Ricardo Cordero, Jake Ryan, James Colby, Mike Houston, Steve Routman, Ian Blackman, Genevieve Adams, Bonnie Rose
Paese USA, Francia Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=72317
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 A spasso con i dinosauri  Walking With Dinosaurs 3D
poster Patchi è un cucciolo di dinosauro erbivoro, gracile e pacifico, suo padre è il capo del branco e il suo fratello maggiore e spaccone è predestinato a seguirne le orme. I due si ritroveranno però ben presto orfani in una foresta incendiata attraversata durante la migrazione. Patchi non dovrà solo crescere in fretta ma anche prendere coscienza del fatto che per essere la guida del branco non è necessario solo battere fisicamente gli avversari ma anche essere in grado di assumersi le responsabilità delle decisioni più difficili. Per dare un seguito cinematografico alla sua celebre e omonima miniserie di fine anni '90 la BBC ha messo insieme un team composto da un noto sceneggiatore di film a sfondo animale ed evoluzionista (John Collee), un regista passato per la Disney (Barry Cook, già dietro Mulan) e un produttore di documentari naturalistici (Neil Nightingale). Il risultato è un film che si pone all'incrocio di tutto questo: una storia educativa raccontata attraverso le strutture dell'animazione classica, in un contesto naturale quanto più possibile credibile e strabiliante. E l'esigenza pedagogica si sente immediatamente, fortissima, a partire da quei nomi di ogni dinosauro spiegati, scritti in sovrimpressione e tradotti, in una versione per nulla divertente delle prese in giro che la Warner Bros. faceva nei cartoni di Wile E. Coyote e Road Runner dei documentari di un tempo. A spasso con i dinosauri vuole come prima cosa insegnare: cosa sono stati i dinosauri, che abitudini avevano, qual era la varietà e come si svolgeva la loro vita (non molto diversa da quella degli animali di oggi). Solo in seconda battuta si occupa di organizzare tutto questo materiale e queste nozioni in una storia, forzando ogni fatto e ogni notazioni nello scheletro più classico che ci sia. Lo stampo è per l'appunto quello della Disney tradizionale, la formazione di un piccolo cucciolo di Pachyrhinosaurus canadensis, dalla nascita alla scoperta degli orrori del mondo fino alla comprensione che nonostante non sia dotato di forza e potenza lo stesso un grande cuore è tutto ciò che gli serve per raggiungere i propri obiettivi. La grandezza è dentro di noi e non nel nostro fisico. Dunque ad impressionare non è la capacità reale di sfruttare l'occasione per una narrazione che insegni o anche solo mostri più di quel che viene detto esplicitamente, semmai è la realizzazione che incrocia istinto da paesaggista e computer grafica, animali costruiti al digitale inseriti in spazi reali. Come per i migliori film naturalistici, il paesaggio pur non interagendo con i personaggi ha un'importanza estetica determinante, in questo caso la sua semplice fusione con il fasullo merita un applauso, poichè a differenza di esperimenti simili visti in passato stavolta l'attenzione è tutta sulla verosimiglianza dell'operazione e non c'è momento in cui l'impressione di realtà non tenga duro. Peccato quindi per la scelta di non animare le bocche degli animali e di avere un implausibile e straniante doppiaggio fatto senza che nessuno parli, come se tutti comunicassero telepaticamente. 
Genere Animazione Durata 97
Regista Neil Nightingale, Barry Cook
Attori John Leguizamo, Justin Long, Karl Urban, Tiya Sircar, Skyler Stone. Angourie Rice
Paese USA Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=72813
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 All Is Lost - Tutto è perduto  All Is Lost
poster Un uomo naviga a vista sull'Oceano Indiano. Colpito un container alla deriva, ripara la falla e libera lo scafo dall'acqua imbarcata. Accomodato il danno, riprende la navigazione minacciata da lontano da nuvole nere. Abile e previdente, si organizza per affrontare la tempesta che, forte e implacabile, ha la meglio sull'imbarcazione. Rovesciato, precipitato in mare, riemerso, arrampicato, scivolato, ferito, l'uomo getta in acqua un natante gonfiabile, attendendo che il vento e le onde si plachino. L'indomani sotto un sole timido recupera suppellettili, generi alimentari e oggetti di navigazione, guardando mestamente affondare la sua barca a vela. Munito di sestante e di saldo coraggio, si barcamena, calcolando la sua posizione sulla mappa nautica. Invisibile alle navi e ai mercantili che incrociano la sua rotta, non si arrende alla natura e alle incessanti tempeste, rispondendo alla sua collera e rovesciando i suoi rovesci. All is Lost è una storia di permanenza, la permanenza di un uomo in mare che si scontra con la fiera irriducibilità della natura. Diversamente dal capitano Achab (Moby Dick) e dal capitano Aubrey (Master and Commander), l'uomo senza nome di Robert Redford non ha balene bianche o fregate da inseguire per placare l'ossessione. Altrimenti ancora da Pi, il ragazzo indiano e naufrago di Ang Lee, il protagonista non ha una controparte con cui condividere l'esistenza e pochi metri di spazio. Di lui non sappiamo nulla se non le poche parole affidate al mare e allo spettatore, con cui si scusa giurando di averci provato. Perché a vivere lui ci ha provato davvero, resistendo in un oceano sempre più privo di mondo e delle cose perdute del titolo. Opera seconda di J.C. Chandor, All is Lost dura due ore ed è occupato da Robert Redford, completamento solo e alle prese con la sopravvivenza. Naufragio e lotta, attesa e ricordo, si alternano in un film salato, privo di dialoghi e grondante acqua. Tutto è acqua e tutto è perduto in acqua, elemento liquido da cui nasce la vita e da cui viene inghiottita. L'oceano, indifferente davanti all'impotenza del protagonista, lo lambisce, lo conduce, lo sprofonda e poi lo restituisce al suo affanno e al suo istinto, che gli suggerisce sempre cosa fare. E lui fa, fa tutto dentro un film 'pragmatico' che restituisce dignità alle cose e alle persone, rivendicando la manualità. Robert Redford di fatto è un makers che sfugge le logiche impersonali della produzione di massa, che crea e ripara rivelando allo spettatore l'importanza del 'saper fare'. Fare tutto il possibile per salvare l''investimento' più importante quando i marosi ci travolgono. Come Margin Call, film d'esordio sulla crisi economica, è concentrato sull'istante del crollo piuttosto che sulla ricostruzione storica dell'evento, così All is Lost 'sbatte' contro il personaggio, lasciando lo spettatore senza appiglio se non quello di testimoniarne la resistenza. Chandor non presenta il protagonista, non gli produce un passato ma strumenti nautici per ritrovare la rotta ed evitare i luoghi comuni di una storia, quella del naufrago, letta e vista tante volte. All is Lost si disinteressa della crescita morale del suo personaggio, tuffandolo in una natura che lo eccede e a cui scampa con abilità manuale, rilanciando la vita e la volontà di restarci. La banca affondata di Margin Call è infine il contrario speculare del natante inaffondabile del protagonista, le parole con cui diceva l'astrazione della finanza l'inverso dei silenzi in cui agisce il corpo biondo di Robert Redford, la cui fotogenia è ancora una volta spesa in favore del progresso civile e del 'futuro artigianale' profetizzato da Philip K. Dick. 
Genere Drammatico Durata 106
Regista J.C. Chandor
Attori Robert Redford
Paese USA Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=73831
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 American Hustle - L'apparenza inganna  American Hustle
poster Abscam era il vero nome di un'operazione dell'FBI che negli anni '70 incastrò alcuni membri del congresso con l'aiuto di una coppia di noti truffatori. Irving Rosenfeld che per anni aveva guadagnato promettendo a persone disperate cifre grosse in cambio di cifre piccole senza mai corrispondere nulla, fu incastrato assieme alla sua socia e compagna Sydney Prosser e costretto dall'agente Richie DiMaso ad aiutare l'FBI nell'organizzazione di una truffa ai danni di politici e mafiosi. Quello che nessuno aveva calcolato era però la devastante presenza della vera moglie di Irving, un ingestibile tornado di problemi. La storia che David O. Russell trae dalla sceneggiatura di Eric Singer rifiuta subito qualsiasi realismo storico in stile Argo e si getta a capofitto nel tunnel del grottesco, prediligendo l'uso sfarzesco ed esagerato di costumi d'epoca e parrucche (eccezionale quella totalmente implausibile di Jeremy Renner) per conferire ai suoi personaggi quell'aura di amabile vulnerabilità con cui è solito condirli per avvicinarli al pubblico. Dunque è senza proibirsi nessuna delle sue consuete ruffianerie che Russell ha realizzato forse il suo film più convincente. Su tutta la vicenda narrata aleggia l'ombra flebile di un conflitto tra i più comuni al cinema, ovvero il rapporto che la finzione instaura con la realtà (cosa implichi cioè per due individui l'essere uniti dal proporsi a oltranza per quello che non sono), si basasse realmente su questo però American hustle non avrebbe speranze di generare interesse, tanto è svogliata la trattazione dell'argomento. Nel dipanarsi e intrecciarsi dei rapporti tra i quattro protagonisti è infatti evidente che sono i piccoli momenti autentici in un mare di bugie quel che David O. Russell ama filmare e quindi i più sinceri da guardare. Già The Fighter e Il lato positivo mettevano dei personaggi animati dalle migliori intenzioni di fronte agli ostacoli che le proprie debolezze e quelle delle persone che gli sono più vicine pongono per il raggiungimento di una vittoria reale, metafora di una più profonda e spirituale. Sia un incontro di boxe, una gara di ballo o come in questo caso una serie di arresti di proporzioni sempre più esagerate, il raggiungimento dello scopo finale nei film di Russell è dimostrazione di qualcosa di più grande e sembra essere sempre subordinato al confronto con la fragilità dei rapporti umani. Dividendo in quattro personaggi (variamente tarpati nelle loro ambizioni, condannati a fregarsi ma anche in grado di salvarsi vicendevolmente) le istanze solitamente portate da una coppia, il regista trova finalmente la chiave migliore concentrandosi sulla componente determinante del suo cinema: la recitazione. Tutti e quattro gli attori protagonisti, con cui Russell ha già lavorato nei suoi film precedenti, forniscono una prestazione fuori dalle loro rispettive medie. Nonostante espedienti grossolani e dalla mano pesante come la serie di ellissi temporali che saltano eventi importanti della storia per poi recuperarli con brevi flashback, ogni scena di American hustle è sostenuta con una credibilità e una sincerità sentimentale talmente potenti da iniettare il dramma necessario nei momenti più divertenti e l'ironia più commovente nei momenti drammatici. Fin dal ruolo più piccolo ma fondamentale di Jennifer Lawrence a quello del vero protagonista, ovvero l'Irving di Christian Bale, collettore di ogni frustrazione e portatore dei conflitti più amari senza ricorrere ai soliti eccessi dell'attore ma attraverso una misura commovente, ogni sguardo sembra poter materializzare il sogno del cinema di mettere una lente di ingrandimento su quelle sensazioni umane per le quali non esistono parole. 
Genere Drammatico Durata 138
Regista David O. Russell
Attori Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Jeremy Renner, Jennifer Lawrence. Jack Huston, Louis C.K., Michael Peña, Alessandro Nivola, Elisabeth Rohm, Dawn Olivieri, Colleen Camp, Anthony Zerbe, David Boston, Erica McDermott, Adrian Martinez, Thomas Matthews
Paese USA Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=74618
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 Dallas Buyers Club  Dallas Buyers Club
poster Ron Woodroof vive come se non ci fosse un domani, non credendo alla medicina ma professando solo la religione della droga e dell'alcol. La scoperta di non avere realmente un domani a causa della contrazione del virus HIV apre un calvario di medicinali poco testati e molto inefficaci, fino all'estrema soluzione di sconfinare in Messico alla ricerca di cure alternative. Lì verrà a conoscenza dell'esistenza di farmaci e cure più efficaci, ma non approvate negli Stati Uniti, che deciderà di cominciare ad importare e vendere a tutti coloro i quali ne abbiano bisogno, iniziando un braccio di ferro legale con il proprio paese. Nel percorso attraverso le fiamme costituito da un male lento e letale come quello portato dal virus HIV esiste un che di religioso. I più bigotti hanno individuato nella malattia a cui il virus porta (che essendo venerea si trasmette anche attraverso il sesso e che ha colpito molto gli omosessuali) una punizione divina per atteggiamenti contrari alla morale promulgata dalla Bibbia, Jean-Marc Vallée invece usa l'abisso dell'aspettativa di morte a causa dell'HIV per raccontare un percorso di santità. Ron Woodroof come i grandi santi dell'antico testamento parte dalla posizione più deprecabile, preda di tutti i principali vizi e colmo d'odio verso chiunque non sia come lui, ma la prossimità alla morte lo costringerà a rivedere la propria intolleranza e ad aprirsi a un commercio e una benevolenza verso il prossimo che sono la caratteristica portante della santità. Dunque, benchè Dallas buyers club sia assolutamente privo di metafore direttamente religiose, è innegabile il suo lavoro di ribaltamento di uno tra i più odiosi luoghi comuni omofobi, attraverso un eterosessuale che si apre al prossimo, facendosi portatore di salvezza e vita contro un sistema che sembra negarla. Tutto questo scontro e questo percorso di rinegoziazione del ruolo degli eterosessuali nella lunga battaglia per ottenere cure efficaci e tempestive contro il virus HIV (che per molti versi ha riguardato soprattutto gli omosessuali), il film lo gioca sul fisico emaciato e smagrito di Matthew McConaughey che tra chili persi e un trucco molto efficace mostra, con le varie fasi della propria salute, il senso stesso della purificazione umana sulla sua faccia. L'attore benedetto da William Friedkin (con il suo Killer Joe è cominciata per lui una seconda carriera da attore, non più bello e scemo ma affidabile maschera d'intensità) ha un film sulle sue spalle, che da lui pretende e ottiene anche troppe impennate di qualità strappalacrime e prendiapplausi ma in cambio non gli fornisce quel che dovrebbe. Dallas buyers club è infatti un racconto sentimentale molto ruffiano, che cavalca l'esaltazione della reale battaglia per la conquista del proprio diritto alla vita da parte di un uomo che compie tutto il percorso da deprecabile fino ad adorabile, un eroe pieno di difetti e dunque ancor più amabile, decisamente meno interessante, complesso o profondo di quanto l'interpretazione di McConaughey non cerchi di farlo apparire. Inoltre, per andare appresso al suo protagonista sempre e comunque, cercando nel suo corpo la soluzione di ogni scena e l'esaltazione di ogni passaggio importante, Jean-Marc Vallée trascura il resto del cast nonchè della storia. Ne fanno le spese specialmente Jared Leto e Jennifer Garner a cui vengono lasciati solo scampoli ininfluenti che li trasformano in meri condimenti degli assolo del protagonista. 
Genere Drammatico Durata 117
Regista Jean-Marc Vallée
Attori Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer Garner, Denis O'Hare, Steve Zahn. Griffin Dunne, Dallas Roberts, Kevin Rankin
Paese USA Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=71869
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 Disconnect  Disconnect
poster Un poliziotto vedovo si converte a detective privato per avere più tempo per il figlio, un bulletto che, tramite un falso profilo di facebook, gioca con i sentimenti di un coetaneo più introverso. Un avvocato di grido non può staccare occhi e orecchie dal telefono, nemmeno a cena, e non vede quel che accade in casa sua, ai suoi figli. Una produttrice televisiva intravede lo strumento per confezionare un reportage di successo in un ragazzo che si vende sulle videochat hard insieme ad altri minorenni. Un'altra donna, reduce da un lutto profondo, cerca conforto presso uno sconosciuto on line, mentre il marito accumula debiti. Immerse nel virtuale, sconnesse l'una rispetto all'altra, le vite di queste persone vengono brutalmente sconvolte dalla realtà e intrecciate tra loro dal destino. L'ex documentarista Rubin sceglie senza esitazione una struttura multilineare e un cast inattacabile. Il modello è Crash di Paul Haggis, citato anche nel tema di fondo, ovvero la solitudine reale del singolo nel mondo della comunicazione virtuale totale, ma il risultato è decisamente meno sontuoso, perfino televisivo. Eppure, in questo caso, non è un male assoluto. Se, infatti, esasperano i ralenti e le scenografie di interni standard, e la regia è ancora più che mai priva di personalità, il look televisivo è se non altro coerente con l'assunto a tesi, e lo argomenta senza nemmeno provare a negarlo. Messa da parte un'aspettativa diversa, Disconnect dà allora il meglio di sé dentro le maglie della sceneggiatura, perché, se la struttura è schematica a dir poco, le scene al loro interno non lo sono affatto: ben scritte, tese e ottimamente interpretate. Primo, in questo senso, è forse Frank Grillo, ma più che credibile è anche la prova di Jason Bateman sul fronte drammatico tout court, mentre Skarsgaard è terzo in classifica, impegnato dentro un personaggio di ex militare problematico, in lotta con se stesso prima che col nemico, che pare comunque cucitogli addosso. Peccato che, paradossalmente ma non troppo, la sovraesposizione visiva degli strumenti tecnologici di comunicazione - cellulari, tablet, computer portatili - non renda un buon servizio al film, decidendone l'estetica senza che sussista una necessità reale. E non solo perché molto di ciò che accade non è imputabile solo e soltanto ai vettori tecnologici, ma soprattutto perché il cinema di qualità, quello di Fincher con The Social Network, per fare un esempio eccellente, ha dimostrato che le alternative ci sono, eccome. 
Genere Drammatico Durata 115
Regista Henry Alex Rubin
Attori Jason Bateman, Hope Davis, Frank Grillo, Michael Nyqvist, Paula Patton. Andrea Riseborough, Alexander Skarsgård, Max Thieriot, Colin Ford, Jonah Bobo, Haley Ramm, Kasi Lemmons, Erin Wilhelmi, John Sharian, Norbert Leo Butz, Erin Darke, Antonella Lentini, Marc Jacobs
Paese USA Anno 2012
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=75795
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 Family Weekend  Family Weekend
poster Il film racconta la storia di Emily Smith-Dungy (Olesya Rulin), una sedicenne incredibilmente motivata ed ambiziosa che è diventata sempre più frustrata a causa della mancanza di sostegno da parte dei genitori. Sua madre, Samantha (Kristin Chenoweth), è orientata alla carriera come importante e potente dirigente aziendale. Suo padre, Duncan (Matthew Modine), è un felice e spensierato artista che non può essere disturbato dalla briga di guadagnare uno stipendio. Emily decide di ristabilire l'ordine in casa. Con l'aiuto dei suoi fratelli, si uniscono e prendono in ostaggio i loro genitori, nella speranza di diventare di nuovo una "famiglia". 
Genere Commedia Durata
Regista Benjamin Epps
Attori Kristin Chenoweth, Matthew Modine, Olesya Rulin, Joey King, Shirley Jones. Eddie Hassell, Adam Saunders, Robbie Tucker, Peter Gail, Chase Maser, Lisa Lauren Smith
Paese USA Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=77852
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 Hercules - La leggenda ha inizio  The Legend of Hercules
poster Con il lungimirante scopo di mettere fine al regime tirannico del re Anfitrione, la regina Alcmena dà alla luce Hercules, il cui vero padre è Zeus in persona. Cresciuto ignaro dei suoi natali semi-divini, il principe vive un'intensa storia d'amore con Ebe, principessa di Creta, che sarà presto promessa in sposa al fratellastro Ificle, apparentemente, per appianare divergenze politiche tra i due regni. Di conseguenza, l'eroe conoscerà la dannazione dell'esilio. Dopo essersi distinto nell'arte gladiatoria, Hercules farà ritorno a casa, ormai conscio della propria origine, per avere la vendetta che gli spetta. Che sia per anglofilia o per distinguersi da quel cinema peplum che, dalla fine degli anni Cinquanta alla metà dei Sessanta, conquistò le nostre platee, il nome dell'eroe delle sette fatiche non è stato tradotto in italiano, come fu al tempo dell'omonimo cartone della Disney. Ma qui il tono non è felicemente bambinesco, né giocoso come allora, piuttosto piatto, monocorde, senza vibrazioni e scosse, anche quando entrano in scena i due antagonisti oppure si mostrano gli intrighi di palazzo. Patinato, tracimante di sequenze ad effetto, fasullo in molti momenti, Hercules: La leggenda ha inizio guarda direttamente a Il gladiatore, a partire dal meccanismo "esilio/riscatto nell'arena/vendetta" vissuto dal protagonista per finire, addirittura, con alcuni chiari elementi visivi (si pensi solo ai pulviscoli nell'aria, tipici di Ridley Scott). Al netto dei pochi riferimenti alla sua natura per metà divina, c'è soltanto qualche sequenza d'obbligo per ricordarci qual è l'eroe che abbiamo davanti, il personaggio di Hercules passa per una versione estremamente semplificata del Massimo Decimo Meridio di Russell Crowe: anche lui subisce le angherie di un principe tanto malvagio quanto vigliacco, così come conquista una nuova consapevolezza soltanto dopo essersi misurato con gli scontri nelle arene. Regista di action, con qualche merito nella sua discontinua filmografia, Renny Harlin non dimentica inoltre il modello di 300, di Centurion e di altri neo-peplum successivi, sebbene finisca con il restituirne una versione sempre semplificata, zuccherosa nonostante la violenza, edulcorata. Non soltanto per la scelta, certamente infelice, di Kellan Lutz nel ruolo principale, ma soprattutto per un'inattendibilità palpabile che attraversa tutto questo lavoro diviso tra (fasulla) estetica della potenza e compromessi con l'orizzonte del teen movie, voglia di respiro epico e impossibilità di ricrearlo. Anche a livello esclusivamente tecnico non ci sono particolari note di merito. 
Genere Azione Durata 90
Regista Renny Harlin
Attori Kellan Lutz, Scott Adkins, Liam McIntyre, Liam Garrigan, Roxanne McKee. Gaia Weiss, Rade Serbedzija, Johnathon Schaech, Luke Newberry, Jukka Hilden, Kenneth Cranham, Mariah Gale, Sarai Givaty, Spencer Wilding, Bashar Rahal, Rick Yudt
Paese USA Anno 2014
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=77900
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 I segreti di Osage County  August: Osage County
poster In una casa nelle campagne dell'Oklahoma l'anziano poeta Beverly descrive alla neoassunta Johnna la situazione familiare: lui è un forte bevitore ma questo suo vizio è tollerato dalla moglie Violet che fa un uso smodato di pillole. Un evento inatteso farà sì che Violet, ammalata di cancro alla lingua, debba rincontrare tutte insieme le proprie figlie con i loro compagni. Non sarà una pacifica riunione di famiglia. Non è un caso se due dei più interessanti film recenti di William Friedkin (Bug - La paranoia è contagiosa e Killer Joe) avevano alla base una sceneggiatura scritta da Tracy Letts il quale in questo caso trasferisce sullo schermo una propria opera teatrale. Il rischio era quello, rispetto alle sceneggiature citate, di fare del teatro al cinema con tutte le trappole da evitare. È stato lo stesso scrittore a dichiarare: "So che c'è un'altra dimensione nel film che non poteva esserci nel testo teatrale ed è Osage County. Vorrei portare il regista e la produzione a casa mia e mostrare loro il paesaggio che ha un valore profondo per me come persona che non ha solo scritto un testo ma ha scritto una sceneggiatura che è in qualche misura autobiografica. Il paesaggio stesso diviene un personaggio". Il desiderio è stato soddisfatto perché tutti gli esterni sono stati girati in Oklahoma, che con la sua calura e i suoi ampi spazi deserti permea questo dramma familiare in cui l'aridità dei comportamenti umani tenta costantemente di prendere il sopravvento. I segreti di Osage County ruota attorno al complesso personaggio di Violet che solo un'attrice come Meryl Streep poteva accettare di interpretare sullo schermo. Violet ha una personalità magmatica che è arduo tentare di definire. Da vittima può trasformarsi in carnefice con un battito di ciglia, da donna tenera e arguta può divenire la più verbalmente violenta commensale ad un pranzo di famiglia. A farle, anche suo malgrado, da specchio è la figlia Barbara, una Julia Roberts tesa come una corda di violino sul punto di spezzarsi. I colpi di scena non mancano e continueranno a proporsi fin quasi alla fine del film ma non c'è nulla di teatrale (nell'accezione negativa del termine) in essi. C'è la minuziosa ma mai didascalica descrizione di persone a cui il destino o le scelte di vita hanno conferito il ruolo di parenti. Quei Parenti serpenti che Monicelli aveva saputo magistralmente descrivere in una delle sue commedie più nere e che qui si confrontano e si scontrano nella calura agostana del sud degli Stati Uniti. 
Genere Drammatico Durata 119
Regista John Wells [I]
Attori Meryl Streep, Julia Roberts, Ewan McGregor, Chris Cooper, Abigail Breslin. Benedict Cumberbatch, Juliette Lewis, Margo Martindale, Dermot Mulroney, Julianne Nicholson, Sam Shepard, Misty Upham, Will Coffey
Paese USA Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=70017
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 I, Frankenstein  I, Frankenstein
poster Duecento anni dopo la sua creazione, la Creatura di Victor Frankenstein si trova al centro di una guerra combattuta ai margini del visibile tra gargoyle, difensori della razza umana, e demoni che cercano di rianimare una colonia di cadaveri al fine di possederne l'anima. Naberius, principe dei cattivi, vuole carpire il segreto di Adam - nome col quale la regina dei gargoyle ha ribattezzato la Creatura - per coronare il suo progetto di distruzione, ma non avrà gioco facile: l'inaspettata scoperta di uno scopo di vita e l'incontro con una bella elettrofisiologa, infatti, faranno nascere una nuova consapevolezza nel tragico quanto risoluto mostro. Ispirato all'omonima graphic novel di Kevin Grevioux, I, Frankenstein è un action fantasy impregnato di umori gotici, almeno per quanto riguarda il breve prologo e la descrizione di una metropoli contemporanea in cui campeggia una cattedrale dove è ubicato il quartier generale dei gargoyle. Dell'archetipico romanzo di Mary Shelley, questa tonante e pretestuosa variazione conserva soltanto il nodo filosofico dell'esperimento di laboratorio che soffre il peso di una mancata accettazione, prima da parte del padre-creatore e poi dell'umanità tutta. Alle movenze lente e tragiche del mostro classico si sostituiscono, allora, la sveltezza e la prestanza di un corpo sul quale il tempo non lascia segno, quasi imbattibile, capace di difendersi anche mediante una speciale tecnica di combattimento con i bastoni (come lasciar fuori le arti marziali?). Se la perfetta fisicità rende incredibile l'affermazione secondo cui sarebbe composto da "almeno una dozzina di corpi differenti", il nuovo Frankenstein risulta, invece, credibilissimo per un determinato target di spettatore: parliamo di ragazzini in cerca di percorsi eroici modulati sul continuo crossover tra fumetto, videogame e rimasticature letterarie oltreché ancora in grado di lasciar correre e sopportare frasi come "lasciatelo a me!" o "uccideteli tutti!". Ad un apparato visivo non particolarmente innovativo, ma di pregio, sia per quanto riguarda la realizzazione degli effetti speciali sia per il concept visuale globale, coincide, dunque, un'organizzazione del materiale narrativo che scorre sui binari di una progressione puerile: due fazioni, il bene e il male (si parla di "ascendere al cielo" e di "discendere agli inferi") e, al centro, un personaggio, che umano non è, a fare da ago della bilancia. Possente eppure problematico, come sono gli ultimi supereroi del grande schermo, Aaron Eckhart dà a questa pellicola strettamente imparentata con la serie di Underworld (stessa produzione) quella credibilità che manca in altri analoghi titoli. Si poteva raccontare la stessa storia da un'angolazione più adulta per avvicinare un'altra fetta di spettatori, ma Stuart Beattie ha scelto di non farlo. Forse è stato un peccato. 
Genere Fantastico Durata 93
Regista Stuart Beattie
Attori Aaron Eckhart, Bill Nighy, Yvonne Strahovski, Miranda Otto, Jai Courtney. Socratis Otto, Caitlin Stasey, Mahesh Jadu, Kevin Grevioux, Steve Mouzakis, Aden Young, Deniz Akdeniz, Chris Pang, Virginie Le Brun, Angela Kennedy, Samantha Reed, Goran D. Kleut, Amanda Dyar
Paese USA Anno 2014
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=61730
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 Il capitale umano  Il capitale umano
poster In un paesotto della Brianza che finisce in "ate", eretto alle pendici di una collina una volta incredibilmente boscosa, un cameriere da catering neanche più giovane torna a casa a notte fonda con la sua bicicletta, chiuso tra il gelido freddo di una curva cieca e il sopravanzare spavaldo e sparato di un Suv che lo schiaccia lasciandolo agonizzante, vittima predestinata di un pirata anonimo. Il giorno dopo, la vita di due famiglie diversamente dislocate nella scala sociale brianzola viene toccata da questo evento notturno in un lento affiorare di indizi e dettagli che sembrano coinvolgere il rampollo di quella più ricca, assisa nella villa che sovrasta il paese, e la figlia dell'altra, piccolo borghese con aspirazioni di ribalta. Uno a uno sfilano i presunti protagonisti: il padre della giovane ragazza, un ingenuo stolto e credulone, titolare di un'agenzia immobiliare, pronto a giocarsi quello che non ha per entrare nel fondo fiduciario del magnate della zona al quale accede per un eccesso di fiducia e grazie all'entratura garantitagli dalla figlia, fidanzata con il giovane rampollo della ricca famiglia; il magnate, cinico e competitivo, perfetto prodotto brianzolo, forgiato con la tempra di chi ha abbattuto ettari di bosco per costruire quell'impero economico, inno del malcostume e del cattivo gusto: le moglie dell'uno e dell'altro, la prima psicologa tutta presa dalla sua missione e dall'imminente maternità, tardiva e sofferta, la seconda sposa tonta con il sogno del teatro, obnubilata dalla ricchezza e dal troppo avere: in ultimo i rispettivi figli, non più incolpevoli, mai più adolescenti, complici dell'orrore in questa "tragedia" balzachiana che della commedia ha solo i tipi. Paolo Virzì fa un salto in avanti nel personale viaggio politico nell'Italia del suo presente, puntando finalmente la bussola verso il nord del Paese, trovando un cuore nero che non fa ridere proprio per niente. La goliardia toscana, il cinismo burlone romano (modi e luoghi che hanno caratterizzato la sua commedia) sono lontani, lontanissimi, senza quasi più alcun eco in queste lande brianzole, disegnate come fossero terre straniere abitate da genti aliene che comunicano in un linguaggio misterioso e duro. Virzì si fa suggestionare dal suo limite, un misto di gap culturale e sociale (un livornese in Brianza), che presto trasforma nella sua arma migliore, abbandonando il facile gigioneggiare nelle disgrazie del malcostume centroitaliano per addentrarsi nei meandri di un apologo potente e inaspettato. Liberamente tratto dal thriller di Stephen Amidon, ambientato nel Conneticut, con l'aiuto di Francesco Piccolo e Francesco Bruni, Il capitale umano vanta un cast variamente composto su cui domina Fabrizio Bentivoglio che interpreta senza alcun timore il personaggio di Dino Ossola. Ecco, crediamo che questo tipo unico di "scemo" sia in assoluto una delle migliori descrizioni di un certo italiano contemporaneo, degno della migliore tradizione del cinema nostrano. 
Genere Thriller Durata 109
Regista Paolo Virzì
Attori Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio. Giovanni Anzaldo, Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli, Gigio Alberti, Bebo Storti, Vincent Nemeth, Pia Engleberth, Nicola Centonze
Paese Italia Anno 2014
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=75209
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 Il castello magico  The House of Magic
poster Tuono è un gatto che viene abbandonato per strada dai padroni. La città è come una giungla per lui e il primo riparo che trova è in una vecchia casa che anche i cani del vicinato temono. Girano strane leggende sul fatto che quella magione sia infestata, di certo quello che Tuono trova al suo interno è una comitiva di animali e un padrone prestigiatore con i suoi "giocattoli". Quando il proprietario di casa viene ricoverato all'ospedale a seguito di un incidente il suo bieco nipote affarista farà di tutto per cercare di vendere la casa e sbarazzarsi degli altri inquilini animali. Ben Stassen e Jeremy Degruson sono arrivati in Italia con i film d'animazione Le avventure di Sammy e Sammy 2 - La grande fuga, versione belga dei cartoni in computer grafica americani poco inventiva e molto ripiegata su storie, personaggi e standard d'oltreoceano. Ma se i due film con protagonista la tartaruga di mare Sammy saccheggiavano a piene mani l'universo e l'immaginario di Alla ricerca di Nemo (asciugandolo di qualsiasi secondo livello di lettura per adulti), Il castello magico sembra cominciare a conquistare una certa autonomia. Stupisce infatti quanto sia migliorata l'animazione, più in linea con gli standard internazionali, ricca, precisa e realizzata in maniera impeccabile, e quanto poco questa volta il duo ricorra ad un immaginario già esistente. Sebbene infatti le avventure di animali parlanti non siano una novità nel mondo dell'animazione e nemmeno la prospettiva dei giocattoli che si animano quando gli umani non li vedono, è indubbio che Il castello magico sia un film che partendo da questi presupposti sviluppa una storia, dei personaggi e delle relazioni tra di essi totalmente originali. La parabola è delle più semplici: il trionfo di un'alleanza di reietti contro la gretta avidità di un cattivo che (grande classico delle favole tradizionali) è il parente malvagio di uno dei protagonisti buoni. Degruson e Stassen non hanno la minima intenzione di guardare più in là del contenuto spicciolo e della storia, questo è ormai chiaro, tuttavia per la prima volta l'intrattenimento che mettono sullo schermo riesce a stare in piedi da sè. Grandi panoramiche, sequenze furiose, umorismo di bassa lega (ma funzionante) e qualche trovata a sorpresa condiscono un film che pur non inventando niente di particolare riesce comunque ad essere il migliore tra quelli prodotti dallo studio belga. 
Genere Animazione Durata 90
Regista Jeremy Degruson, Ben Stassen
Attori Riccardo Suarez, Giorgio Lopez, Christian Iansante, Carlo Valli, Perla Liberatori. Roberto Stocchi
Paese Belgio Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=80299
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 Il Grande Match  Grudge Match
poster Umiliati dal mondo dei media moderno, incapaci di comprendere a pieno i mutamenti che li circondano ma fedeli ai sentimenti più onesti, due anziani ex pugili cercano di rimanere a galla e recuperare le occasioni professionali e familiari perse in gioventù. Si sono incontrati due volte sul ring e hanno vinto una volta ciascuno, poi la vita privata ha portato uno dei due a non voler più incontrare l'altro, privandolo di quello a cui tiene di più: una rivincita. Ora tutti sembrano di colpo interessati a loro e alla loro rivalità, tanto che l'idea di un nuovo incontro, nonostante l'età avanzata, diventa una gallina dalle uova d'oro della quale, viste le difficoltà economiche, sono costretti ad approfittare riaprendo vecchie ferite. Nonostante non venga mai detto esplicitamente Il grande match si fa latore di una promessa metacinematografica, ovvero mettere sul medesimo ring gli attori al centro di due dei più importanti film di boxe di sempre (e implicitamente due dei personaggi più importanti del cinema sportivo tout court). E di metacinema il film vorrebbe cibarsi davvero con le sue continue citazioni interne, dagli allenamenti di Rocky (ripetuti, presi in giro e sfruttati) alle smorfie di Jake LaMotta fino ai sobborghi white trash in cui macerano i personaggi, solo lievemente aggiornati da qualche pigro riferimento alla crisi attuale, quello che gli manca tuttavia è il fiato necessario per reggere il peso di tante incombenze, finendo schiacciato dai miti che non sa gestire praticamente subito, a pochi minuti dai titoli di testa. Tagliato sulle misure del cinema di Sylvester Stallone e adattato ai personaggi in cerca di assoluzione personale, propri della china discendente della carriera di Robert De Niro, Il grande match è sostanzialmente una storia di resistenza alla modernità che solo occasionalmente ricalca il cinema sportivo, non perdendo occasione per mettere i propri personaggi nella condizione di essere sfruttati o di canzonare tutto ciò che è recente e attuale. Siano videogiochi, motion capture, arti marziali miste o iPad, quello che non viene dall'era in cui erano giovani è vissuto con un tangibile senso d'opposizione che facilmente sfocia nello scontro. Esiste un mondo presente e uno passato e non sono conciliabili nella visione di Peter Segal (che sembra più che altro quella di Sylvester Stallone se si guarda alla sua filmografia recente) ma separati da un abisso di onestà sentimentale. Per i presupposti con i quali è stato concepito Il grande match dovrebbe essere capace di fondere diverse mitologie, di unire visioni poco compatibili (quella di Rocky e quella di Toro scatenato per l'appunto) e forse riuscire a dire qualcosa della maniera in cui la carriera degli interpreti sia al medesimo stallo di quella dei personaggi. Obiettivi totalmente fuori dalla portata di un team realizzativo senza nessuna voglia di impegnarsi. Anche poco. È così che il film lentamente lascia emergere la sua vera ragion d'essere assieme al pubblico per il quale è pensato, non certo quello del cinema sportivo o d'azione (che comunque è lo spettatore che Sylvester Stallone punta e ogni tanto riesce ancora ad intercettare nella sua ricerca dell'eterna giovinezza filmica) ma quello anziano, folto e bisognoso d'intrattenimento oggi più di ieri, disprezzato dai blockbuster e dal cinema action contemporaneo (che ha in mente solo i più giovani) e assetato di eroi che lo rappresentino. O meglio che gli raccontino quello che gli altri film non fanno: una storia di rivincita generazionale in cui la parte del leone la fanno anziani che si comportano come giovani. Il disastro di Il grande match è però che oltre questa molto puerile voglia di rivincita generazionale non c'è altro. Lo spunto già risibile non è supportato in alcun modo da una scrittura anche solo ai livelli minimi di decenza e, nonostante un po' di autoironia all'acqua di rose, il film in ogni momento ribadisce la serietà del proprio unico fine: celebrare la terza età sovvertendone i principi di inabilità e appassimento. 
Genere Commedia Durata 113
Regista Peter Segal
Attori Sylvester Stallone, Robert De Niro, Kevin Hart, Alan Arkin, Kim Basinger. Jon Bernthal, Paul Ben-Victor, Stephanie Grote, Starlette Miariaunii, Corrina Roshea, Nicole Andrews, Han Soto, Kurt Krause, Demetrice Jackson, Griff Furst, Mykel Shannon Jenkins
Paese USA Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=75241
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 Il segnato  Paranormal Activity: The Marked Ones
poster Oxnard, California. Il giovane Jesse dice parole di saggezza nel suo discorso di commiato dopo il diploma alla high school. Poi passa ai fatti: bagordi e festeggiamenti vari con il suo amico Hector per celebrare la "liberazione". A casa, Jesse sente strani rumori e voci provenienti dall'appartamento della vicina Anna, una donna piuttosto bizzarra. Sbirciando, Jesse ed Hector vedono una donna nuda, su cui Anna sta disegnando simboli magici probabilmente nell'ambito di un rituale occulto. I ragazzi ne deducono che Anna sia una strega e sono incuriositi. La loro curiosità aumenta quando poco tempo dopo Anna viene trovata uccisa. Il sospettato è un loro ex compagno di classe, Oscar, che avevano visto tempo prima uscire dall'appartamento della donna. Jesse ed Hector vogliono saperne di più, perciò si introducono di nascosto nella casa di Anna, dove trovano strani oggetti che rimandano alla magia. Jesse si risveglia con una ferita al braccio, forse causata da un morso. La sera, lui ed Hector sono aggrediti da due tozzoni attaccabrighe e Jesse li sistema con forza sovrumana. Qualcosa è cambiato e forse c'è di mezzo il soprannaturale. Più spin-off che sequel nell'ambito dell'ormai numerosa prole generata da Paranormal Activity, il film cerca nuova linfa nell'ambientazione tra gli ispano-americani della California, dove religione e superstizione si fondono fornendo il substrato culturale necessario a dotare di qualche credibilità l'escursione nella magia nera in un contesto urbano-popolare. Proprio la ricerca di credibilità e di realismo è alla base del format caratteristico della serie, quello del cosiddetto found footage che mette insieme le riprese apparentemente reali ottenute con una videocamera. Il format è però ormai usurato e non aiuta molto la storia che, per la sua struttura, sarebbe stata raccontata probabilmente meglio in modo tradizionale. Lo spunto è comunque interessante, con lo strisciare sinistro della magia dentro la quotidianità di una vita del tutto banale e con la scoperta che tutto viene da molto lontano. Non si tratta di novità nell'ambito dell'horror, ma la soffusa e pervasiva irruzione dell'occulto aiuta a generare la sensazione di un pericolo sfuggente e incombente, almeno sin quando il disegno soprannaturale in qualche modo si precisa e le cose si fanno più prevedibili. A parte qualche classico salto sulla sedia provocato da accadimenti subitanei e rumorosi, il film stenta a creare tensione. Troppe lungaggini e una sostanza narrativa molto diluita minano l'efficacia del racconto e i traballanti movimenti della macchina a mano non aiutano. Inoltre, il film manca un po' di nerbo, i personaggi sono appena abbozzati e non spingono lo spettatore a parteggiare per loro, tranne forse Marisol, amica del duo protagonista e unica a sprigionare un po' di simpatia nella sensibile interpretazione di Gabrielle Walsh. Qualche connessione con i film della serie tende ad allargare le prospettive e a dipingere un quadro complesso e sfuggente, per dare barlumi di unità al fluire dei film. Il risultato ha qualche pregio strutturale, ma sembra più un sotterfugio per fidelizzare che qualcosa dettato da una reale esigenza narrativa e sistematica. Christopher Landon ha collaborato al secondo, terzo e quarto episodio della serie: la sua promozione alla regia non produce scossoni. 
Genere Horror Durata 84
Regista Christopher B. Landon
Attori Andrew Jacobs, Jorge Diaz, Gabrielle Walsh, Renee Victor, Noemi Gonzalez. David Saucedo, Richard Cabral, Carlos Pratts, David Fernandez Jr., Kimberly Ables Jindra, Eddie J. Fernandez, Hector Luis Bustamante, Silvia Curiel, Crystal Santos, Tonja Kahlens, Catherine Toribio, Julian Works, Lucy Chambers, Karolin Luna
Paese USA Anno 2014
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=79370
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 Khumba  Khumba
poster Nella comunità delle zebre che vivono nel deserto di Kharoo in Sudafrica c'è un nuovo nato a cui viene dato il nome di Khumba. Il piccolo ha però una diversità: solo metà corpo è a strisce. L'altra metà è bianca. Questo fa sì che quando sopravviene la siccità lo si accusi di esserne la causa. Venuto a sapere di una leggendaria fonte magica in cui le prime zebre apparse sulla terra si immersero per avere le strisce, Khumba parte insieme a uno gnu e a uno struzzo. In agguato c'è però il temibile leopardo Phango. Dal Sudafrica arriva un nuovo film di animazione dopo l'interessante Zambezia. La produzione è la stessa ma il regista è diverso e si avvale della propria esperienza personale per raccontare una storia in cui domina la presa di coscienza della diversità non come colpa da espiare ma come valore da fare proprio. Dalle enormi orecchie di Dumbo alla pinna 'claudicante' di Nemo il cinema di animazione disneyano ci ha proposto più volte le vicende di un protagonista portatore di una diversità che non gli impediva però di mostrare la propria grandezza interiore. Quello che si percepisce in più in questa produzione sudafricana (così come nella precedente) è la scelta di radicare la narrazione nella storia di un popolo e nell'ambiente naturale autoctono. Khumba finisce così per essere il rappresentante di tutti quei sudafricani che hanno vissuto il colore della loro pelle come un vulnus grazie a una società che faceva di tutto (come le zebre adulte) per farglielo sentire come tale. Qui però il finale della vicenda (che ovviamente non va anticipato) si apre a una prospettiva diversa rispetto a quella, ad esempio, de La bella e la bestia, dando una risposta matura alla domanda "Quante strisce ci vogliono per fare una zebra intera?" Tutto poi viene contestualizzato non solo dal già citato deserto di Kharoo (di cui si riproducono con accuratezza l'aridità e la fauna) ma anche dal punto di vista musicale. I suoni tradizionali che accompagnano la vita nella comunità delle zebre lasciano il posto ad altre sonorità che si adattano non alle diverse situazioni ambientali di un film che fonde avventura, divertimento e riflessione. 
Genere Animazione Durata 83
Regista Anthony Silverston
Attori Jake T. Austin, Steve Buscemi, Loretta Devine, Laurence Fishburne, Richard E. Grant. Anika Noni Rose, AnnaSophia Robb, Catherine Tate, Liam Neeson, Dee Bradley Baker, Jeff Bennett, Joey Richter, Greg Ellis
Paese Sudafrica Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=78256
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 Last Vegas  Last Vegas
poster Billy, Paddy, Sam e Archie sono amici inseparabili nell'America a un passo dagli anni Sessanta. Insieme formano i Flatbush Four, un gruppo di ragazzini spensierati che si fotografano in formato tessera e si spalleggiano contro i bulli di turno. Cinquantotto anni dopo, dislocati in diverse città degli States, decidono di ritrovarsi a Las Vegas per celebrare l'addio al celibato di Billy, settantenne con fidanzata sbarazzina e villa a Malibù. Tinto e abbronzato, Billy si nasconde dietro un sorriso smagliante e un matrimonio prossimo, di cui in fondo non è pienamente convinto. A confonderlo di più sono Diana, una cantante 'matura' dalla voce e i pensieri suadenti, e Paddy, l'amico con cui ha da troppo tempo un conto in sospeso. Ad assisterlo ci pensano Sam, marito annoiato in cerca di stimoli, e Archie, nonno a tempo pieno sopravvissuto a un infarto. Più riservati e indulgenti, Sam e Archie provano a normalizzare la relazione conflittuale tra Billy e Paddy, vedovo inconsolabile di una moglie amatissima. Tra vodka Red Bull, carte, puntate e azzardi, i Flatbush Four faranno di nuovo squadra contro la vita che passa troppo in fretta. Risiede indubbiamente nel cast il motivo di interesse della commedia di Jon Turteltaub, regista newyorkese col vizio delle celebrità, che miete e poi esibisce in un cinema che non conosce scossoni (Il mistero dei Templari e L'apprendista stregone). Bad trip tardivo, corretto con trombolitici e interpretato da un cast stellare ma a disagio a rifare se stesso, Last Vegas cerca idee e stimoli nella città della finzione e della trasgressione legalizzata. Robert De Niro, Michael Douglas, Morgan Freeman e Kevin Kline, in rigoroso ordine alfabetico e non di grandezza (tutti ugualmente titolati), deviano come possono e con equilibrato istrionismo la prevedibilità dei loro personaggi e della vicenda che abitano. Precipitati nel 'deserto del reale' per celebrare l'amicizia e riesporre gli archetipi di ogni storia amicale, i 'vecchi ragazzi' si dimostrano capaci di alterare l'universo monotono della commedia senescente di Turteltaub, che gioca con l'avanzamento anagrafico, la memoria e la sua alterazione. E alterati a colpi di vodka Red Bull e di gag risapute, gli interpreti provano a scansare la banale esercitazione nel genere, rendendo riconoscibile il proprio singolare talento di performer. Appannata da un velo di nostalgia, l'imprevedibilità di Robert De Niro si rivela in una sorta di prosecuzione dell'antropologia di quartiere avviata con Mean Streets, quella di Michael Douglas nei grumi pulsionali, nei rimossi e nella posta in gioco erotica, quella ancora di Morgan Freeman in una sensibilità esigente e incantata, quella infine di Kevin Kline nei movimenti (e nelle mosse) che lo mettono di nuovo a nudo. Fuori dalla portata dei ricordi, quelli dei personaggi e quelli dei protagonisti, Last Vegas è un film senza una destinazione credibile che recluta la 'meglio gioventù' (che fu) e propone un 'riscatto' della vecchiaia, non già rivoluzionandone i termini ma sclerotizzandone le prerogative istituzionali. In fondo alla commedia e nel fondo di un bicchiere resta l'amaro di un post sbornia e di uno scotch invecchiato male. 
Genere Commedia Durata 105
Regista Jon Turteltaub
Attori Michael Douglas, Robert De Niro, Morgan Freeman, Kevin Kline, Mary Steenburgen. Romany Malco, Jerry Ferrara, Roger Bart, Dan Hewitt Owens, Jena Sims, Mir Wave, Weronika Rosati, Autumn Dial, Michael Beasley, Andrea Moore, Julisita Salcedo, Ray Abruzzo, Dane Davenport, Ric Reitz, King
Paese USA Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=62642
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 Sapore di te  Sapore di te
poster Forte dei Marmi non è cambiata: ogni anno per trent'anni, stessa spiaggia, stesso mare, stessi personaggi. Che siano gli anni Sessanta o gli anni Ottanta poco importa, cambia la musica ma non le pulsioni primarie, quelle che portano i ragazzi ad innamorarsi delle ragazze, i mariti a tradire le moglie, gli onorevoli a delinquere e la piccola borghesia ad emergere con ogni mezzo. Alberto Proietti è uno di questi, venditore di moda giovane con un negozio a San Giovanni che vorrebbe avere una licenza per via del Corso e per questo sfrutta la conoscenza con un onorevole craxiano di politica e napoletano di nascita che ama piacere alle donne promettendo favori a destra e a manca. Poi c'è Armando che vorrebbe essere come lo Steve McQueen di Vasco Rossi, orfano di padre, ne gestisce il negozio di antiquariato, ma corre dietro a qualsiasi gonna, fino a quando non incontra i jeans attillati di Anna che lo porta a cambiare. A loro si aggiungono Chicco e Luca, milanesi bene, amici d'infanzia, che si contendono la stessa ragazza. E poi altri comprimari, figure di un presepe estivo che non muta mai. I fratelli Vanzina tornano sul luogo del "delitto", quella Forte dei Marmi che trent'anni fa aveva fatto da sfondo per uno dei loro film più famosi, Sapore di mare. Il posto non è cambiato e neanche il gusto, appunto il "sapore". Non è la prima volta che Carlo e Enrico decidono di ripercorre i tratti di una strada che per loro è stata fortunata. Si tratta per lo più di operazioni programmatiche dal forte sapore nostalgico che non sempre riescono, anzi quasi mai. L'ambientazione anni Ottanta, con tanto di colonna sonora vintage, dagli Spandau Ballet e Loredana Bertè, è una vera e propria dichiarazioni di intenti. Questo ritorno al passato, che è sempre stato un passato "alla anni Ottanta" anche quando parlava degli anni Sessanta, denuncia la difficoltà dei Vanzina ad immaginare un cinema che si affranchi definitivamente da quelle ambientazioni e da quelle caratterizzazioni. Che cosa ci vogliono realmente dire i Vanzina con questo film? Parlano a noi, qui ed oggi, oppure a loro stessi, là e allora? 
Genere Commedia Durata 101
Regista Carlo Vanzina
Attori Serena Autieri, Nancy Brilli, Eugenio Franceschini, Matteo Leoni, Virginie Marsan. Maurizio Mattioli, Giorgio Pasotti, Katy Louise Saunders, Valentina Sperlì, Vincenzo Salemme, Martina Stella
Paese Italia Anno 2014
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=78656
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 The Colony  The Colony
poster La storia segue un gruppo di sopravvissuti costretti alla clandestinità da un'imminente era glaciale. Una lotta per preservare l'umanità contro una minaccia selvaggia. 
Genere Azione Durata
Regista Jeff Renfroe
Attori Laurence Fishburne, Kevin Zegers, Bill Paxton, Charlotte Sullivan, John Tench. Atticus Dean Mitchell, Dru Viergever, Romano Orzari, Lisa Berry, Lucius Hoyos
Paese Canada Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=62933
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 The Counselor - Il Procuratore  The Counselor
poster A Juarez tre affaristi della malavita e un avvocato implicato nei traffici del cartello della droga locale subiscono gli effetti del furto di una partita di droga. Mentre i signori della malavita locale sono a loro agio con i meccanismi di una vita in cui la morte è un'opzione che si può realizzare da un momento all'altro, l'avvocato vive e ama come una persona normale, senza curarsi dei rischi della sua professione. Per sua sfortuna coincidenza vuole che in passato abbia avuto tra i suoi clienti proprio il responsabile del furto, di conseguenza lui e tutti quelli a lui vicini sono diventati il prossimo obiettivo della repressione operata dal cartello. La prima sceneggiatura originale di Cormac McCarthy non poteva finire in mani migliori di quelle di uno dei più grandi collettori di talenti del cinema. Completamente nascosto dietro il verbosissimo script, Scott riesce nel doppio movimento di rispettare la parola nel momento in cui viene messa in immagini e riuscire, attraverso la messa in scena, a creare l'atmosfera migliore per un film dal villain invisibile che incombe sui protagonisti come la personificazione stessa del destino. In una storia in cui solo la morte ha un senso e tutto il resto è assurdità, iperbole sessuale e scene stranianti che lasciano di stucco gli stessi personaggi al pari del pubblico, McCarthy mostra come la cosa peggiore che possa esistere sia la volontà di chi non accetta il caos del mondo: un cartello sanguinario che gioca con i cadaveri con il massimo disinteresse per la vita e che, come spiega Brad Pitt: "Non è che non credano nelle coincidenze, sanno che esistono, solo non ne hanno mai vista una". In questo film che appare tanto dello scrittore di The road e Non è un paese per vecchi (nei personaggi, nell'assenza di senso e tantomeno di giustizia in un mondo in cui l'unica cosa tangibile e seria pare essere l'efferatezza della morte), quanto di Ridley Scott (nella scelta di luci, colori, montaggio, interni e abbigliamento il più possibile splendidi e raffinati da usare in opposizione a quel che si dice e succede), esiste un senso profondo di terrore che lo avvicina paradossalmente a territori con i quali non dovrebbe avere nulla a che vedere, ovvero quelli dell'horror. La maniera in cui aleggia nei discorsi, nel terrore delle espressioni e nella rievocazione di agghiaccianti imprese precedenti "il cartello", entità che non vediamo mai nè si manifesta direttamente se non in corrispondenza della morte, dona a The counselor un tono unico che gonfia di senso i dialoghi, impedendogli di essere sterile esibizione di scrittura e recitazione. Tale è l'abilità nel costruire di minaccia in minaccia, di aneddoto in aneddoto, un mondo a parte, invisibile a tutti se non a chi è minacciato di morte e in cui tutto è possibile, che alla fine, in controtendenza rispetto all'abitudine didascalica del cinema hollywoodiano, Ridley Scott può anche permettersi il lusso di "non mostrare". Non ci sarà bisogno di guardare il contenuto del DVD che viene recapitato all'avvocato, l'atmosfera disseminata in tutto il film tra interni moderni, hotel di lusso, bestie feroci lanciate nel deserto e racconti terrificanti ha già lavorato a sufficienza e ciò che si intuisce è peggio di qualsiasi visione. In questo senso, in una galleria di personaggi esagerati e non sempre riusciti che girano intorno all'unico normale (considerato poco più di un'idiota), Cameron Diaz viene caricata con l'incombenza maggiore, quella di dar credibilità al carattere più paradossale di tutti. La maniera in cui riesce nell'impresa di rendere umano l'incredibile ha del formidabile, la sua donna-ghepardo dalla spaccata formidabile permea il film di quella sostanza che invece sfugge sempre al protagonista (Michael Fassbender). A fronte di tutti i dialoghi vacui e ricercati, ordinari e minacciosi anche quando si parla di ordinazioni al ristorante, la sua famelica affarista giunge con un pugno di sguardi alla meta del film: affermare che l'unica verità incontrovertibile del mondo è la sua assenza di senso, coerenza e giustizia di fronte alla vita umana. 
Genere Drammatico Durata 111
Regista Ridley Scott
Attori Michael Fassbender, Penelope Cruz, Cameron Diaz, Javier Bardem, Brad Pitt. Toby Kebbell, Rosie Perez, Dean Norris, Natalie Dormer, Goran Visnjic
Paese USA, Gran Bretagna Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=74020
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 The Wolf of Wall Street  The Wolf of Wall Street
poster Jordan Belfort è un broker cocainomane e nevrotico nella New York degli anni Novanta. Assunto dalla L.F. Rothschild il 19 ottobre del 1987 e iniziato alla 'masturbazione' finanziaria da Mark Hanna, yuppie di successo col vizio della cocaina e dell'onanismo, è digerito e rigettato da Wall Street lo stesso giorno in seguito al collasso del mercato. Ambizioso e famelico, risale la china e fonda la Stratton Oakmont, agenzia di brokeraggio che rapidamente gli assicura fortuna, denaro, donne, amici, nemici e (tanta) droga. Separato dalla prima moglie, troppo rigorista per reggere gli eccessi del consorte, Jordan corteggia e sposa in seconde nozze la bella Naomi, che non tarda a regalare due eredi al suo regno poggiato sull'estorsione criminale dell'alta finanza e la ricerca sfrenata del piacere. Ma ogni onda cavalcata ha il suo punto di rottura. Perduti moglie, amici e rotta di navigazione, Jordan si infrangerà contro se stesso, l'inchiesta dell'FBI e la dipendenza da una vita 'tagliata' con cocaina e morfina. Alla fine di un film di Scorsese ci si convince ogni volta che non si possa andare più in là, che non ci sia più spazio per un'altra inquadratura dopo l'immersione subacquea de Le royaume des fées (Hugo Cabret), che non ci sia un altro sguardo ammissibile dopo gli occhi celesti di un orfano dietro agli orologi e aggrappati alle lancette che scandiscono l'unico tempo che può vivere. Poi vedi The Wolf of Wall Street, commedia nera e stupefacente senza redenzione, e ti accorgi che è possibile. Navy Seal del cinema, Martin Scorsese si spinge daccapo oltre e questa volta negli angoli oscuri dove vivono le cose (molto) cattive e dove ingaggia una battaglia ad alto volume con gli avvoltoi di Wall Street, immorali gangster ma socialmente più accettabili di un gangster. Jordan Belfort, trader compulsivo impegnato a consumare (letteralmente) il mondo, è in fondo il fratello di quel bravo ragazzo di Henry Hill (Ray Liotta in Goodfellas), che proprio come lui non è frutto dell'immaginazione ed è materia prima su cui si edifica il film. Recitato in prima persona da Leonardo DiCaprio, imperiale nella performance e imperioso nel film, The Wolf of Wall Street afferra in piena e frontale autarchia un personaggio incontinente e talmente brillante che non smette di rilanciare e sperimentare i suoi limiti. Alla maniera del suo 'eroe' le immagini di Scorsese, brillanti e smaniose, sature e vuote, si rigenerano con la costanza di un moto perpetuo, svolgendo l'oscenità bestiale del mondo della finanza e proseguendo la sua analisi antropologica sull'avidità attraverso l'economia americana. Scrupoloso studioso di ambienti, di cui L'età dell'innocenza è il vertice incomparabile, Scorsese introduce in un'ouverture rapida e vorticosa l'universo degli operatori finanziari, un regno delirante e fuori controllo che fa fortuna a colpi di bluff e di transizioni più o meno legali, che pratica il piacere e il cinismo dentro un programma quotidiano di feste decadenti popolate da spogliarelliste, puttane, nani volanti e bestie da fiera. Un'orgia senza fine e senza altra ragione che perseverare nella perversione e nel vizio del denaro e della droga, il primo serve per ottenere la seconda. Così per 'montare' il toro furioso di Wall Street Jordan Belfort tira la cocaina, per restarci in equilibrio ingoia sedativi. Se si vuole accedere nei luoghi di The Wolf of Wall Street è necessario seguire la 'striscia' bianca e mettere in conto la tachicardia, un'accelerazione di ritmo e un aumento della frequenza delle immagini, in cui non si può fare a meno di leggere l'esperienza psicotropa e autodistruttiva che ha segnato la vita del regista e lasciato un'impronta indelebile nel suo cinema. Una conoscenza estrema e febbrile della 'materia' che ha forgiato il suo stile, l'eccitabilità della macchina da presa, il montaggio vertiginoso e incalzante, le atmosfere paranoiche, quelle ansiogene e quelle insonni. Gli abusi degli anni Settanta poi hanno prodotto un'identificazione primaria tra il giovane Scorsese e Jordan Belfort, di cui l'autore coglie assai bene i comportamenti ossessivi e la grottesca esuberanza, figurando un personaggio irrecuperabile, che cavalca ininterrottamente una cresta isterica e amorale fino al punto di rottura, un'onda di trenta metri che lo inghiottirà senza inghiottirlo davvero mai. Perché Belfort, in cima al suo yacht o sul palco(scenico) del suo ufficio, è un eruttante 're del mondo', di un serraglio di animali selvaggi e predatori. Lupo, leone (il logo della sua azienda e della sua immagine pubblica), toro (l'emblema di Wall Street), scimmie in stato di eccitazione permanente, ubriachi di potere e dipendenti da tutto. Scorsese non fa sconti, figuriamoci lezioni morali, per quelle rimandiamo a Oliver Stone e Michael Moore, rinunciando a qualsiasi forma di empatia col suo personaggio, escludendo la traccia sentimentale di Casinò, la storia di un 'asso' che costruisce un impero per offrirlo a sua moglie, e mettendo in scena niente altro che la pura e semplice ambizione di dilapidare il mondo senza scrupoli e senza rimpianti. The Wolf of Wall Street è (anche) lo stand-up di un buffone, corruttibile e corrotto leader di una gang disfunzionale, da cui emerge l'ambizione smisurata del trader di Jonah Hill, grande improvvisatore e habitué della commedia 'per adulti' a cui Scorsese regala una delle sequenze più prodigiosamente oscene e fuori misura del film. Maître in materia di cinismo e profitto personale resta nondimeno Jordan Belfort, che il regista riduce a un verme paralizzato dall'abuso di una sostanza chimica, costretto a strisciare fino alla sua vettura, vittima di un'umiliazione che ha contribuito a creare. Un uomo impossibile da redimere che quando infine cade non ha che un'idea nella testa: ricominciare. Un imperatore moderno e wellesiano, che fallisce il successo ed è un fallito di successo, senza 'Rosebud', traumi infantili o segreti da scoprire. Oscillante tra picchi e crisi, ansiolitici ipnotici e droghe stimolanti, The Wolf of Wall Street agisce direttamente sulla chimica cerebrale dello spettatore, che rimane con una penna in mano e la rivelazione di qualcosa di mostruoso e appassionante sulla natura umana. Scorsese ripete la magia, questa volta nera e distruttiva. 
Genere Biografico Durata 180
Regista Martin Scorsese
Attori Leonardo DiCaprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Matthew McConaughey, Kyle Chandler. Rob Reiner, Jon Favreau, Jean Dujardin, Cristin Milioti, Jon Bernthal, Ethan Suplee, Shea Whigham, Spike Jonze, Ben Leasure, Michael Jefferson, Chris Riggi, Joanna Lumley, J.C. MacKenzie, Christine Ebersole, Matthew Rauch
Paese USA Anno 2013
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=63313
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 Tutta colpa di Freud  Tutta colpa di Freud
poster Uno psicologo cinquantenne, Francesco, è stato lasciato solo dalla moglie ad allevare tre figlie e continua a farlo con grande amore e attenzione nonostante l'ultima abbia già compiuto 18 anni e la prima abbia superato i 30. Le tre figlie sono particolarmente sfortunate in amore: Sara, omosessuale, viene regolarmente lasciata dalle fidanzate quando le cose si fanno serie; Marta, libraia, si innamora di scrittori che non la ricambiano; Emma, maturanda, ha avviato una storia con Alessandro, coetaneo di suo padre e per giunta sposato con Claudia. A complicare ulteriormente le cose, Claudia è l'amore segreto di Francesco, che la incontra ogni giorno ma non osa rivolgerle parola, inizialmente ignaro che sia proprio lei la moglie del fedifrago. Da un soggetto pensato insieme a Leonardo Pieraccioni (del cui Un fantastico via vai è stato a sua volta coautore) e Paola Mammini, Paolo Genovese ha tratto una sceneggiatura che mette insieme il meglio e il peggio del suo cinema: dal lato positivo ci sono la leggerezza di un tocco mai volgare, alcune battute davvero azzeccate, una costruzione narrativa fresca e la capacità di orchestrare un coro di attori che, nelle sue mani, tirano fuori il meglio. Dal lato negativo la narrazione in voice over sostituisce quella filmica (una voce che parla sopra le immagini non è la stessa cosa di un racconto per voce e immagini), la musica a palla fa da grancassa a tutte le scene clou, e la sitcom americana (per non dire lo spot televisivo) informa ogni sequenza: dunque ogni scena viene "chiusa" con una battuta, un abbraccio, un ammiccamento, un pollice sollevato. Genovese è talmente cosciente di questa compulsione da farne una gag all'interno del suo stesso film, senza però riuscire ad affrancarsene. Quel che funziona, senza se e senza ma, è il cast, in particolare Anna Foglietta nei panni della lesbica che cerca di cambiare orientamento (ma ricorda agli spettatori che "l'identità sessuale è una cosa seria") e la cui recitazione fisica, in America, avrebbe già fatto di lei una star; e Marco Giallini, sempre più duttile e profondo, capace di sottendere di dolorosa verità anche il più leggero dei dialoghi che lo vedono protagonista. Funzionano anche la cura che Genovese dedica alla costruzione delle inquadrature e l'agilità del montaggio brillante, anche se entrambi evidenziano "la magagna", ovvero l'effetto schizofrenico fra le capacità del regista-sceneggiatore e le brutte abitudini accumulate sui set pubblicitari, e forse incoraggiate dalle produzioni cinematografiche. Il giorno in cui Genovese si sarà liberato di certi condizionamenti spiccherà il salto verso la commedia d'autore, per la quale è ampiamente qualificato: basti ricordare i suoi esordi. In particolare, dato che Tutta colpa di Freud fa spesso riferimento alla musica, potrà tenere presente che le scene più efficaci finiscono "in levare", e che l'occasionale affondo comico è cosa assai diversa dall'"uscita" televisiva. 
Genere Commedia Durata
Regista Paolo Genovese
Attori Marco Giallini, Anna Foglietta, Vittoria Puccini, Vinicio Marchioni, Laura Adriani. Daniele Liotti, Alessandro Gassman, Edoardo Leo, Giulia Bevilacqua, Dario Bandiera, Maurizio Mattioli, Francesco Apolloni, Alessia Barela, Antonio Manzini, Claudia Gerini, Paolo Calabresi, Gianmarco Tognazzi, Michela Andreozzi, Lucia Ocone
Paese Italia Anno 2014
Scheda e Trailer http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=79338

Nuovi Arrivi: Created on 08/04/2014

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